giovedì 2 settembre 2010

CHI LOTTA PUÒ PERDERE

Il termine lotta riecheggia nelle nostre coscienze nei momenti di difficoltà e sconforto. Pensiamo di non avere vie d’uscita e poi un improvviso slancio vitale ci coglie. Parlando intimamente, diciamo: “Devo lottare! DEVO LOTTARE!” E così, cerchiamo di abbattere i demoni che vivono nelle nostre viscere e riaffermiamo la volontà di vivere. La lotta è sempre un dialogo tra facce opposte della stessa medaglia. Essa determina vincitori e vinti, quadagni e perdite, onori ed oneri. Male e bene, ad armi pari, si misurano nel mondo reale producendo conseguenze irreversibili. La lotta si può collocare in tre diversi livelli: intrapsichica (conscio e sub-conscio), tra individui (genitori e figli) e tra parti o classi contrapposte (operai e datori di lavoro, destra e sinistra).
La lotta come strumento per decidere è il meccanismo mediante il quale gli attori in conflitto mobilitano le loro risorse per costringere la controparte a compiere una scelta diversa da quelle che assumerebbe di propria volontà. Se ci fermiamo a pensare a casi concreti di lotta, ci vengono in mente “la lotta per la libertà”, “La lotta contro la mafia”, “La lotta per il pane”, “la lotta per la vita”, “La lotta contro la tossicodipendenza” e cosi via... La lotta è una svolta, è la rinascita ed è l’affermazione della propria dignità! Nella lotta, si possono perdere amici che si ritenevano cari, si possono perdere le speranze e la voglia di andare avanti. La lotta ci può decretare sconfitti, ma solo con la lotta diritti perduti possono essere riacquistati. Solo con la lotta, sudditi diventano cittadini! CHI LOTTA PUÓ PERDERE, CHI NON LOTTA HA GIÀ PERSO! (Che Guevara, motto dell'Isola dei Cassaintegrati)

Tratto da Il Giro Giusto

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