martedì 20 aprile 2010

FIACCOLATA DELLA LIBERAZIONE


Il Popolo Viola Cuneo promuove l'evento organizzato dal Comune di Cuneo e dall'ANPI del 24/04 per festeggiare il giorno della liberazione. Intorno alle 21.00 partirà la consueta fiaccolata presso il monumento della resistenza. Alle 22.00 inizierà il concerto gratuito dei Modena City Ramblers. A termine del concerto, verranno raccolte dal movimento del Forum italiano dei movimenti per l'Acqua le firme per richiedere il referendum sull'acqua pubblica. Il Popolo Viola Cuneo invita tutti a partecipare agli appuntamenti, per regalarci un giorno di festa e ricordare gli eventi passati che ci hanno condotto ad una storia di democrazia. Il Popolo Viola Cuneo si farà conoscere per le vie della città con volantini.

http://www.acquabenecomune.org/raccoltafirme/

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giovedì 15 aprile 2010

IO STO CON EMERGENCY



Il Popolo Viola Cuneo sta con Emergency. Se vi trovate d'accordo, sottoscrivete l'appello perché i tre uomini di pace vengano liberati al più presto.
http://www.emergency.it/appello/form.php?ln=It

Se volete partecipare alla manifestazione di Roma del 17 Aprile, contattate i volontari Cuneo
Gruppo di Cuneo
Cell.: 349/6115945
emergencycuneo@gmail.com
Vi sapremo fornire maggiori dettagli nelle prossime ore.



GINO STRADA SCRIVE AL QUOTIDIANO "LA REPUBBLICA"
"Caro direttore, si introducono - direttamente o con la complicità di qualcuno che vi lavora - alcune armi in un ospedale, poi si dà il via all'operazione... Truppe afgane e inglesi circondano il Centro chirurgico di Emergency a Lashkargah, poi vi entrano mitragliatori in pugno e si recano dove sanno di trovare le armi. A quanto ci risulta, nessun altro luogo viene perquisito. Si va diritti in un magazzino, non c'è neppure bisogno di controllare le centinaia di scatole sugli scaffali, le due con dentro le armi sono già pronte - ma che sorpresa! - sul pavimento in mezzo al locale. Una telecamera e il gioco è fatto.

Si arrestano tre italiani - un chirurgo, un infermiere e un logista, gli unici internazionali presenti in quel momento in ospedale - e sei afgani e li si sbatte nelle celle dei Servizi di Sicurezza, le cui violazioni dei diritti umani sono già state ben documentate da Amnesty International e Human Rights Watch.

Anche le case di Emergency vengono circondate e perquisite. Alle cinque persone presenti - tra i quali altri quattro italiani - viene vietato di uscire dalle proprie abitazioni. L'ospedale viene militarmente occupato.

Le accuse: "Preparavano un complotto per assassinare il governatore, hanno perfino ricevuto mezzo milione di dollari per compiere l'attentato". A dirlo non è un magistrato né la polizia: è semplicemente il portavoce del governatore stesso.

Neanche un demente potrebbe credere a una simile accusa: e perché mai dovrebbero farlo? La maggior parte dei razzi e delle bombe a Lashkargah hanno come obiettivo il palazzo del governatore: chi sarebbe così cretino da pagare mezzo milione di dollari per un attentato visto che ogni giorno c'è chi cerca già di compierlo gratuitamente?


Questa montatura è destinata a crollare, nonostante la complicità di pochi mediocri - che vergogna per il nostro Paese! - che cercano di tenerla in piedi con insinuazioni e calunnie, con il tentativo di screditare Emergency, il suo lavoro e il suo personale.

Perché si aggredisce, perché si dichiara guerra a un ospedale? Emergency e il suo ospedale sono accusati di curare anche i talebani, il nemico. Ma non hanno per anni sbraitato, i politici di ogni colore, che l'Italia è in Afghanistan per una missione di pace? Si possono avere nemici in missione di pace?

In ogni caso l'accusa è vera. Anzi, noi tutti di Emergency rendiamo piena confessione. Una confessione vera, questa, non come la "confessione choc" del personale di Emergency che è finita nei titoli del giornalismo nostrano.

Noi curiamo anche i talebani. Certo, e nel farlo teniamo fede ai principi etici della professione medica, e rispettiamo i trattati e le convenzioni internazionali in materia di assistenza ai feriti. Li curiamo, innanzitutto, per la nostra coscienza morale di esseri umani che si rifiutano di uccidere o di lasciar morire altri esseri umani. Curiamo i talebani come abbiamo curato e curiamo i mujaheddin, i poliziotti e i soldati afgani, gli sciiti e i sunniti, i bianchi e i neri, i maschi e le femmine. Curiamo soprattutto i civili afgani, che sono la grande maggioranza delle vittime di quella guerra.Curiamo chi ha bisogno, e crediamo che chi ha bisogno abbia il diritto ad essere curato.

Crediamo che anche il più crudele dei terroristi abbia diritti umani - quelli che gli appartengono per il solo fatto di essere nato - e che questi diritti vadano rispettati. Essere curati è un diritto fondamentale, sancito nei più importanti documenti della cultura sociale, se si vuole della "Politica", dell'ultimo secolo. E noi di Emergency lo rispettiamo. Ci dichiariamo orgogliosamente "colpevoli".
Curiamo tutti. In Afghanistan lo abbiamo fatto milioni di volte. Nell'ospedale di Lashkargah lo abbiamo fatto sessantaseimila volte. Senza chiedere, di fronte a un ferito nel pronto soccorso, "Stai con Karzai o con il mullah Omar?". Tantomeno lo abbiamo chiesto ai tantissimi bambini che abbiamo visto in questi anni colpiti da mine e bombe, da razzi e pallottole. Nel 2009 il 41 percento dei feriti ricoverati nell'ospedale di Emergency a Lashkargah aveva meno di 14 anni. Bambini. Ne abbiamo raccontato le storie e mostrato i volti, le immagini vere della guerra, la sua verità.

"Emergency fa politica", è l'altra accusa che singolarmente ci rivolgono i politici. In realtà vorrebbero solo che noi stessimo zitti, che non facessimo vedere quei volti e quei corpi martoriati. "Curateli e basta, non fate politica". Chi lo sostiene ha una idea molto rozza della politica.

No, noi ci rifiutiamo di stare zitti e di nascondere quelle immagini. Da tempo la Nato sta compiendo quella che definisce "la più importante campagna militare da decenni": la prima vittima è stata l'informazione. Sono rarissimi i giornalisti che stanno informando i cittadini del mondo su che cosa succede nella regione di Helmand. I giornalisti veri sono scomodi, come l'ospedale di Emergency, che è stato a lungo l'unico "testimone" occidentale a poter vedere "gli orrori della guerra". Non staremo zitti.

Emergency ha una idea alta della politica, la pensa come il tentativo di trovare un modo di stare insieme, di essere comunità. Di trovare un modo per convivere, pur restando tutti diversi, evitando di ucciderci a vicenda. Emergency è dentro questo tentativo. Noi crediamo che l'uso della violenza generi di per sé altra violenza, crediamo che solo cervelli gravemente insufficienti possano amare, desiderare, inneggiare alla guerra. Non crediamo alla guerra come strumento, è orribile, e mostruosamente stupido il pensare che possa funzionare. Ricordiamo "la guerra per far finire tutte le guerre" del presidente americano Wilson? Era il 1916. E come si può pensare di far finire le guerre se si continua a farle? L'ultima guerra potrà essere, semmai, una già conclusa, non una ancora in corso.
La risposta di Emergency è semplice. Abbiamo imparato da Albert Einstein che la guerra non si può abbellire, renderla meno brutale: "La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire". Nella nostra idea di politica, e nella nostra coscienza di cittadini, non c'è spazio per la guerra. La abbiamo esclusa dal nostro orizzonte mentale. Ripudiamo la guerra e ne vorremmo la abolizione, come fu abolita la schiavitù.

Utopia? No, siamo convinti che la abolizione della guerra sia un progetto politico da realizzare, e con grande urgenza. Per questo non possiamo tacere di fronte alla guerra, a qualsiasi guerra. Di proporre quel progetto, siamo colpevoli.

Ecco, vi abbiamo fornito le risposte. E adesso? Un pistoiese definì il lavoro di Emergency "ramoscello d'ulivo in bocca e peperoncino nel culo". Adesso è ora che chi "di dovere" lavori in quel modo, e tiri fuori "i nostri ragazzi". Può farlo, bene e in fretta. Glielo ricorderemo sabato pomeriggio, dalle due e mezza, in piazza Navona a Roma".
http://www.repubblica.it/esteri/2010/04/15/news/lettera_gino_strada-3358513/

martedì 6 aprile 2010

PARTECIPAZIONE POLITICA: le donne inadatte alla politica?!


I maschi si informano di politica più delle femmine. Quest’ultime ritengono che la poltica usi un linguaggio compilcato e sia troppo distante dalla loro routine. Gli uomini raggiungono l’apice dell’interesse politico dai 45 ai 64 anni (76,2%); mentre le donne si appassionano maggiormente di politica dai 45 ai 54 anni (63,6%).

Le differenze di genere dimunuiscono con il crescere del titolo di studio: nel punto ‘parla di politica almeno una volta alla settimana’, con la laurea la differenza di genere è di circa 13 punti percentuali; con il diploma superiore il range di distacco è quasi di 17 punti; con la licenza media, il valore dei maschi è il doppio rispetto a quello delle femmine. Quelli che non si informano di politica, il 23, 3% del totale, giustificano il deficit principalmente per disinteresse (65,5% maschi e 66,9% femmine), sfiducia nella politica (26,3% m e 23,9% f), argomento difficilmente comprensibile (10,8% m e 15,4% f) e mancanza di tempo (6,8% m e 5,8% m). Inoltre, le donne partecipano meno ai cortei e soprattutto ai comizi (tranne che nell’età tra i 14 e i 17 anni). Con il tempo, però, si sta registrando un aumento significativo di partecipazione politica: in un decennio le donne che parlano di politica almeno una volta alla settimana sono cresciute del 46,9%, più del doppio degli uomini (+18,8%), quelle che si informano di politica almeno una volta alla settimana del 20% (rispetto al 6% degli uomini), quelle che si informano tutti i giorni del 25% (rispetto all’11% degli uomini).
Informazioni reperite dal sito www.istat.it
Forse le donne hanno meno tempo da dedicare all politica dovendo sia lavorare sia occuparsi della gestione familiare. Le donne, perché la parità venga raggiunta a tutti gli effetti, devono impegnarsi a raggiungere un ruolo sociale e civile attivo. Solo così, le disuguaglianze potranno sparire per lasciare spazio all’uguaglianza di genere. Esiste la festa delle donne, proprio perché la protesta femminile risulta un evento eccezionale, ma quando succede produce cambiamenti mai visti.

 
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